Scrittura e teatro per dar voce alle trans di Baldenich

Quattro brasiliane, una napoletana, una paraguaiana e una peruviana, di età media attorno ai 35 anni. Cosa hanno in comune? Innanzitutto sono sette donne transessuali. Ma sono anche sono anche sette detenute diventate le protagoniste di un laboratorio sperimentale di scrittura creativa e teatro in carcere, un percorso unico nel suo genere in Italia finalizzato non solo all’espressione e all’esercizio, ma alla realizzazione di un vero e proprio spettacolo teatrale autonarrativo. Quattro brasiliane, una napoletana, una paraguaiana e una peruviana, di età media attorno ai 35 anni. Cosa hanno in comune? Innanzitutto sono sette donne transessuali. Ma sono anche sono anche sette detenute diventate le protagoniste di un laboratorio sperimentale di scrittura creativa e teatro in carcere, un percorso unico nel suo genere in Italia finalizzato non solo all’espressione e all’esercizio, ma alla realizzazione di un vero e proprio spettacolo teatrale autonarrativo.

Questo è il cuore pulsante del progetto avviato a Belluno martedì 10 luglio e che mette insieme le realtà carcerarie di Rebibbia reclusione, con la sezione di media sicurezza, e di Baldenich, con la sezione transessuali ospitata nella Casa circondariale del capoluogo veneto.

Diffidenza, curiosità ed entusiasmo sono state le tre note relazionali con cui si è intessuto il primo approccio tra le 7 detenute, le 4 operatrici dell’associazione bellunese Jabar (che lavora da anni a favore delle persone recluse ed ex recluse del carcere bellunese) e i due operatori di Rebibbia, Antonio Turco, attore, autore e funzionario pedagogico dell’amministrazione penitenziaria romana, e Tamara Boccia, pedagogista sua stretta collaboratrice. «Il linguaggio è diventato comune quando abbiamo parlato con loro di tecnica, ovvero di scrittura creativa basata sul metodo del teatro “di testimonianza”», raccontano i due ospiti romani, che sono stati a Belluno tra il 10 e l’11 luglio proprio per lanciare questa sperimentazione tra le pareti delle Dolomiti bellunesi. «Sono donne con passati violenti fatti di emarginazione, di inevitabile ricorso alla prostituzione, di rivendicazione sociale e di riconoscimento dell’identità. Donne che sono diventate e diventeranno protagoniste di un racconto teatrale che le accomunerà ai detenuti di Rebibbia (impegnati in vari progetti di recitazione, ndr) per una cosa in particolare: l’essere considerati diversi». Di qui la stesura della proposta per entrare anche nella sezione bellunese delle transessuali, una delle cinque presenti nelle strutture penitenziarie italiane (oltre a Belluno ci sono anche Rimini, Firenze, Roma e Napoli), dove portare la scrittura e la recitazione come forme di narrazione, espressione e in un certo senso liberazione. «Essere operatori che si interfacciano con la realtà detentiva da un tempo lungo o breve che sia non ci esime dal provare una pluralità di emozioni ogni volta che entriamo a contatto con persone recluse. Il sesso di appartenenza non può essere un problema. Transessuali, omosessuali, stranieri: per noi la sensazione è sempre la stessa, quella di avere a che fare con esseri umani fragili ed è quello che noi abbiamo vissuto nel momento d’incontro».

Lo spettacolo che sarà scritto e inscenato dalle detenute partecipanti e si impernierà su intrercci di storie individuali e di condizioni collettive in cui l’emarginazione sociale, il non essere riconosciute, lo stigma, l’esilio relazionale saranno al centro della dimensione drammaturgica. Tra i due istituti penitenziari verranno condivisi alcuni estratti dei copioni scritti nei rispettivi laboratori, per lanciare un altro ponte con cui condividere non soltanto le parti, ma anche le persone. Si tratta di un progetto pilota a livello nazionale, un gemellaggio tra un carcere molto grande e strategico e uno più piccolo e periferico. «Molte cose accomunano detenuti e detenute», enumerano Boccia e Turco: «il mare, quello di Napoli ma anche di Rio de Janeiro; la cultura del popolo che sgomita nei Quartieri spagnoli e nelle favelas; il ricordo di violenze subite e del sentirsi costantemente “marchettari”». Ecco perché è già stata condivisa l’idea di portare all’interno della Casa circondariale di Belluno l’opera “Borsellino atto finale”, coinvolgendo attivamente anche alcuni detenuti dell’istituto di Baldenich: si tratta di un’attività che la compagnia stabile Assai (la prima a nascere dietro le sbarre di un carcere italiano) ha già portato a Locri, Reggio Calabria e Viterbo. Turco peraltro è già stato ospite del capoluogo dolomitico e della sezione Aics provinciale con lo spettacolo “Il Corno di Olifante”.

Il progetto nella sua connotazione bellunese è finanziato dal Csv Belluno e sostenuto dal dipartimento Politiche sociali di Aics nazionale, per promuovere la cultura della legalità e della corresponsabilità, in particolare nella gestione delle dinamiche interattive tra pari, per impedire la ghettizzazione e la discriminazione di categorie che ancora oggi sono da considerarsi esposte.