Come è nata la rivista Sconfinamenti

La rivista SCONFINAMENTI nasce da un’idea dell’associazione di volontariato Jabar e di noi detenuti del carcere di Baldenich a Belluno.

Siamo un gruppo di persone che frequentano il corso di informatica tenuto dai volontari dell’associazione da almeno un anno. I nostri articoli, che troverete nel primo numero di “Sconfinamenti”, sono il frutto di quello che siamo riusciti a fare: c’è chi ha scritto poesie, chi ha scritto le proprie storie di vita, chi ha raccontato la vita giornaliera del carcere, con elencate le cose che vanno bene e quelle da migliorare. La nostra idea è di diffondere la rivista fuori dal carcere, per farla leggere anche al pubblico esterno, oltre che di esprimerci liberamente, senza timori o paura di essere giudicati.

Io, personalmente, non ho problemi nel raccontare il mio vissuto personale (di tossicodipendenza, di comunità, di vita di strada e ora di carcere), perché ho fatto esperienze negative sì, ma anche positive. Finora il mio passato non l’ho mai raccontato a nessuno, perché pensavo che non fosse importante, anche se poi dipende a chi lo racconti. Mi piacerebbe che anche altre persone con il mio passato provassero a raccontare la loro storia di vita disagiata, sarebbe una bella opportunità, anche per poterci confrontare tra di noi. Non auguro a nessuno quello che ho passato io: più passano gli anni, più sento storie simili alle mie e non fa molto piacere ricordarle, ma comunque sono parte della mia vita. Le storie che sento appartengono a persone giovani sempre più giovani (anche di me, ma giovane lo sono anche io).

L’esperienza che più mi ha segnato, oltre alla tossicodipendenza, è stata la vita di strada, perché cambia il modo di pensare e di vedere la vita reale. Ho imparato a essere più solidale con le persone che vivono la mia stessa situazione, anche se all’inizio del mio percorso da senzatetto non lo avevo accettato ben volentieri, perché pensavo a una cosa più leggera e breve, quando invece è durata per un anno. La vita di strada è molto faticosa in senso fisico. Ho anche imparato a capire il lavoro che facevano le associazioni di volontariato nelle stazioni dei treni, nelle mense e nei dormitori: da queste piccole cose si capisce che non siamo del tutto soli, ma che per fortuna c’è sempre qualcuno che ti sostiene. Questo ci fa molto piacere ed aiuta a capire che c’è sempre una speranza per tutti nel poter riprendere in mano la propria vita.

Diego
Baldenich, dicembre 2016