Bambino già grande

Sono nato nel 1975 in una città al nord dell’Albania, da due genitori che adesso non ricordo quasi per niente. Poco dopo la mia nascita, tra loro sono iniziati i problemi e le contrarietà. Quando avevo solo sei anni si sono separati. Mia madre si è rifatta una vita, mio padre si è allontanato e mi ha abbandonato, affidandomi a suo fratello. Ma mio zio paterno aveva già due figlie, più grandi di me.

Sono sempre stato un bambino silenzioso e in silenzio sono stato per troppo tempo. Pensavo che qualcosa sarebbe cambiato. Ho aspettato. Ho raccontato di me, ma oggi mi trovo a chiedermi: perché? Non mi importa di me, non ho l’abitudine di raccontare di me. A cosa serve? Ormai è passato. Perché raccontare, e poi, cosa?

Che dico! Io non sono mai stato bambino, ho dovuto crescere in fretta, troppo in fretta. Oggi non posso più piangere, devo reagire, non per me, no, ormai a che serve? Voglio reagire e sfogarmi e in questo momento l’unica valvola di sfogo per me è scrivere.

Albania, 1991. In quegli anni di regime comunista (1945-1990) il mio era un Paese poverissimo. Erano quelli gli anni dell’“epoca comunista” e insieme dell’ideologia marxistaleninista, e il paese andava sempre di più verso una povertà totale. Una mattina degli amici miei e un mio cugino avevano sentito che da Durazzo partivano due grandi navi verso l’Italia. Li ascoltavo in silenzio e l’idea cominciava a piacermi sempre più. Tanto – dicevo tra fra me – non ho niente da perdere. Nessuno che si preoccupa di me e credo che nessuno sentirà la mia assenza. Così ci siamo organizzati con i miei amici e mio cugino e siamo partiti verso Durazzo, con grandi speranze e sogni. Il mio viaggio è stato molto avventuroso. Sono partito dalla mia città per raggiungere il porto di partenza, dove ho aspettato una settimana prima di salpare. Proprio il giorno della partenza ho cominciato a sentirmi male, avevo mal di stomaco, ma non dicevo niente per paura che non mi prendessero con loro e mi lasciassero lì. Ci siamo imbarcati per l’Italia su una nave molto grande e in circa 24 ore siamo arrivati. Una volta scesi ci siamo allontanati dal porto ed abbiamo preso il treno per Milano.

Nel primo periodo, da quando ero arrivato, non ero molto felice di stare in Italia, mi mancava il mio Paese, gli amici. Durante gli anni successivi ho avuto esperienze negative. Ogni giorno dovevo lottare da solo per riuscire a sopravvivere. Tra un bar e l’altro, un amico e l’altro, ho conosciuto dei ragazzi più grandi di me. All’epoca dei fatti mi facevano capire che potevo guadagnare soldi facili, senza fatica e che i documenti per “quelle cose” non servivano, anzi, era meglio non averli. Da solo, senza documenti, cresciuto senza affetti, senza una madre che mi insegnasse la differenza tra il bene e il male, e con un padre praticamente inesistente, mi sono formato da solo, ascoltando, osservando, ragionando tra me e me, senza approfondire niente. E così, giorno dopo giorno, stare con quei ragazzi che mi davano soldi e mi promettevano tanti soldi, macchina, ragazze e molto altro, mi piaceva sempre di più.

La parte peggiore arriva successivamente, perché ho cominciato a fumare, a bere e a provare sostanze stupefacenti. La cosa peggiore è che mi piacevano, mi facevano sentire padrone del mondo. Tutto quello che per me aveva un significato, non significa più niente e ripensando alla mia vita mi sento ingannato, proprio da quegli amici che dicevano di volermi bene.

 

Morire a trent’anni

Cammino da solo per strada
in tasca tengo qualcosa
tutto felice per quel che farò
potrei fare tante cose
ma ho preferito la dose fuori
c’è la vita dentro
c’è la morte ma tu, droga,
più non m’inganni.
È triste morire a trent’anni

Amarildo Ziu,
Baldenich, dicembre 2016