A ruota libera

A ruota libera… Si, proprio così.

Due ore di sfogo, di parole, di bisogno di svuotare quel contenitore che è l’anima, per una settimana. La vita in carcere non sarebbe così dura se non ci fossero delle situazioni incomprensibili ed inique. Si è dentro per espiare una pena, ma anche per correggere e riabilitare. Già, è la nostra Costituzione che parla chiaro: scontare una pena per un reato fatto, ma riabilitazione contemporanea per non condannare a vita chi ha sbagliato. Dargli la possibilità di riscattarsi, questo è il secondo principio del carcere.

Li ascolto mentre parlano e mi coinvolgono nella loro discussione. Intervengo con piacere, sono coinvolto nei loro pensieri. Da una parte Gianluca (nome di fantasia, ndr) che non vuole farsi sopraffare dalla rassegnazione e lotta per aprire uno squarcio tra le maglie burocratiche dell’amministrazione del carcere; dall’altra Lorenzo che è rassegnato e trascorre lentamente e in attesa i giorni che passano, tutti uguali, con le solite scadenze. In mezzo io, che ascolto e mi sento impotente, mi rendo conto che la burocrazia, il tran tran, la voglia di non esporsi, la tranquillità di un posto statale, la monotonia e la mancanza di iniziativa condannano delle persone due volte.

Le considerazioni oggettive: spesso le domande di permesso premio sono cassate. Ci sono strumenti minimi in atto per non ricadere nell’errore. Mi spiego meglio. Il lavoro in carcere è importante per molti fattori, non solo economici. È importante che i detenuti imparino qualcosa, acquisiscano un minimo di professionalità in modo che una volto tornati liberi possano essere, o cercare di essere, autonomi e accettati nel mercato del lavoro. Ma se noi facciamo lavorare 8 ore al giorno i detenuti facendo fare loro un lavoro ripetitivo e finalizzato  ad un solo prodotto, senza professionalizzarli, sfruttando il loro costo orario ridotto, una volta fuori si ritroveranno senza nulla in mano. Questo è un concetto importante: per tutti è fondamentale avere un minimo per vivere, altrimenti o si va sotto i ponti o si delinque, matematico.

Altro concetto importante è il sostegno morale che la società deve attuare in tutte quelle situazioni di disagio familiare che si ritrovano spesso in questi casi. Pochi hanno una famiglia alle spalle e se esiste è problematica al punto che, a volte, le persone chiedono di rimanere in carcere perché non saprebbero dove andare.

Poi c’è la confidenza, il bisogno di parlare delle propria situazione con qualcuno che ti ascolti e che non lo faccia solo per professione… si capisce. Ascolto… queste persone, al di là di qualsiasi altra considerazione, hanno bisogno e diritto di essere ascoltate.

Finite le due ore oltrepasso le 14 porte che mi separano dall’aria aperta, dalla libertà e penso, penso che sono stato fortunato, certo, potrei esserci anch’io la dentro se non avessi avuto una famiglia a sorreggermi, se non avessi degli amici con cui condividere altre scelte, se avessi avuto qualche delusione potente o subìto qualche grossa ingiustizia o solamente se avessi ascoltato il richiamo dei soldi e del potere.

Ripenso a tutte le lotte politiche degli anni Settanta, gli scioperi, i picchetti davanti ai cancelli delle fabbriche in solidarietà con le lotte operaie, le occupazioni delle scuole, l’autogestione, le manifestazioni e i cortei contro i governi , la repressione o contro la guerra. Sono fuori dal portone, respiro l’aria fresca invernale e penso “Sono stato fortunato”.

A sabato prossimo.